Andrej Rublëv

Perché Andrei Rublev, oggi?

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Quando sei in cerca della “grazia” e non sei un santo – o un matto – e non hai ricevuto le stigmate come Francesco d’Assisi, puoi cercarla attraverso il tuo lavoro. Se poi il tuo lavoro ti porta a riflettere sull’uomo, sulla nostra condizione, passando l’esistenza tra ingiustizie, sofferenze, volgarità e brutalità, allora senti la vicinanza di un uomo come Andrei Rublev.Ogni uomo cerca risposte. La mancanza delle domande, di interrogativi che sovente dilacerano quando privi di risposta, portano l’uomo a ingerirsi totalmente nella propria esistenza materiale, a perseguire unicamente le pulsioni più primitive, l’affermazione di “sé”  oltre ogni ragione morale. O, al contrario, lo conducono alla cieca sottomissione ad una ideologia, ad interessi, ad una fede fanatica. Penso che la natura di taluni sia affermare la crudeltà e la violenza come strada vincente nella strenua lotta per la propria sopravvivenza e della specie: Homo homini lupus!

L’Andrei Rublev di Tarkovsij non è un “eroe positivo”. … “È una figura percorsa da dubbi, attentata dalla sfiducia, momenti assolutamente convinto della propria vanità, della propria insufficienza nel contrastare validamente il flusso della realtà. Non è però completamente preda dell’incedere degli eventi… Rublyov, pur tra perplessità, travagli e disperanti scelte, intende incidere nella realtà: quantunque monaco, de testa e respingere una religione intenta a terrorizzare il popolo, concepirlo come un gregge di reietti, tradotti alla salvezza dai saggi pastori (per questo non dipinge il Giudizio Universale nell’osservanza di canoni figurativi drammatici dettati da una religione imposta con la forza…); Quantunque monaco, non esita a condannare passi delle scritture che sono semplici esercizi di retorica scrupolosa e contorta nei quali, per inezie formali, si condannano esseri umani mentre, intorno, fatti sanguinosi non sollevano alcuna riprovazione da parte delle autorità religiose; quantunque monaco, rompe con le norme della comunità, si chiude nel silenzio, non accogliere raccomandazioni ad aver fiducia nella provvidenza divina, quasi per lui in Dio non esista (intende scovarlo insieme, nell’uomo, nell’agire che giova alla vita, nella serenità dei giorni; intende educare l’uomo… a non defraudare la sua personalità di quell’insieme di qualità sue precipue e a non attribuirle ad un essere superiore che, così concepito, giustifica poi un innaturale ordinamento gerarchico è un potere feroce)”.

1966

“La violenza l’infelicità la prevaricazione l’invidia percorrono la pellicola come una fiumana di morte. Nella cattedrale di Vladimir, devastata dei tartari, ingombra di cadaveri e di i rovine, fra icone fumiganti, prepotente il senso di morte e di disfacimento. La desolazione e la sfiducia invadono il cuore di Andrej è vi albergano, ma un cavallo nero entra in edificio e la neve comincia ascendere fra gli sperduti rintocchi di una campana, presenze e segni del necessario prodursi di un evento, fievoli, fugaci indizi nel momento del più cupo sconforto di un ancor lontana eventualità per la quale la catena dei luttuosi eventi sarà spezzata. Una credenza di tutti i popoli associo il cavallo alle tenebre del mondo sotterraneo facendo emergere dalle viscere della terra auto gli abissi del mare. Figlio della notte del mistero, questo archetipo e fiore e foriero di morte di vita. Legato al fuoco, distruttore benefico, e all’acqua, l’elemento che nutre ed in cui si affoga, questo animale a molteplici accezioni simboliche; assume connotazioni cosmiche poiché trascina il carro del sole e collabora all’alternarsi del giorno e della notte e alla succedersi delle stagioni, e, con lo svolgersi della cultura umana, acquista di volta in volta significazione che ne dipingono la valenza nefasta o ne esaltano il dinamismo, la forza impulsiva e generosa l’energia apportatrice di prosperità e di abbondanza… Il cavallo e quindi accostato, per analogia, alle acque che rendono feconda la terra. Capace perciò di collaborare al risveglio della natura nell’epoca del suo rinnovamento (come indica la leggenda del mitico Pegaso sui cui zoccoli facevano sgorgare pure acque propizie all’ispirazione poetica), esso può anche dar nuovo vigore alla immaginazione e trasformarsi in simbolo dell’impeto del desiderio, della giovinezza dell’uomo. Simbolo tipo senza creatrice, di primavera della vita, con una valenza sia sensuale che spirituale, il cavallo nero, nella poesia popolare russa, rappresenta la vitalità trionfante… La neve è un modo d’essere della pioggia in presenza di determinate condizioni atmosferiche, e la pioggia – gocce d’acqua che cadono dal cielo sulla terra riarso addormentata per risvegliarne la fertilità – non è che l’elemento di transizione, il veicolo del passaggio tra un ciclo vitale all’altro. La neve rappresenta una congelazione, una riduzione della efficacia feconda attrice delle acque. Ma, privata della mobilità e della instabilità di ciò che fluido, condivide le qualità di ciò che è solido: vanta quindi una certa equivalenza con quanto denota inflessibilità e ostinazione, comunque indica una resistenza a tutto ciò che sta su un livello inferiore”.

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Ben poco sappiamo della vita del pittore Andrea Rublev forse nato intorno al 1370 è morto intorno al 1430. Il suo nome è ricordato con devozione dai cronisti. Discepolo di Teofane il greco pittore filosofo venuto da Bisanzio che aveva lavorato nel 1399 nella chiesa dell’arcangelo a Mosca, Rublev  divenne così famoso che il concilio ecclesiastico dei 100 capitoli lo proclamò modello di pittura nella nell’anno 1551. Fu santificato. Concluse una lunga secolare ricerca della pittura russa, che, nell’ambito della tradizione bizantina, rigida e ieratica, cercava l’espressione della sua voce. Lavorò in chiese e monasteri, in particolare nel Monastero della Trinità di San Sergio. Erano tempi di efferata crudeltà. I Tartari sentivano avvicinarsi la fine del loro dominio di Russia, avevano ancora la forza per organizzare spaventose spedizioni. A questo flagello si aggiungevano le continue lotte tra i principi russi, che spesso si alleavano con i tartari contro i loro rivali. E si aggiungano la fame le pestilenze. Tempi di crudeltà e di morte, di violenze di odio: e San Sergio chiedeva la pace  fra i principi, l’armonia del popolo russo. Mistico è politico, Sergio di Radonec ispirò monaci e pittori: la predica dell’armonia trovo in ruberebbero il più secondo seguace. Non sappiamo dove ruberebbe sia nato. Era monaco, ma ci è ignoto il tempo e luogo della sua ordinazione. La prima volta che le cronache lo ricordano nel 1405, quando appunto con Teofane il greco è Prokhorov di Gorodec, lavorava alla chiesa dell’annunciazione. Tra il  1425 del 1427 lavorò al monastero di San Sergio e tra il 1427 e il 1430 lo troviamo a Mosca, nel Monastero Andronikov, Cattedrale del Salvatore. Questo monastero fu certamente l’ultimo porto di Andrei Rublev: qui egli morì intorno al 1430″  (da Rublev: sofferenze e speranze di un popolo di E. Bazzarelli).