I termini del lessico cinematografico sono spiegati nella pagina del GLOSSARIO.
L’inquadratura è esattamente lo stesso concetto presente in fotografia. E questo semplicemente perché le inquadrature di un film sono altrettante riprese fotografiche, effettuate con la cinepresa, che, a differenza di una comune macchina fotografica, scatta almeno 24 fotografie ogni secondo (nelle riprese al rallentatore attualmente si può arrivare a 1200 fps e normalmente si parte da 120).
La fondamentale differenza – implicita in quello che abbiamo precedentemente scritto – sta nel fatto che nel cinema una inquadratura è il “contenitore” di una moltitudine di fotografie più o meno diverse, unite le une alle altre da un legame spaziale e temporale.
Una inquadratura può soffermarsi anche per diversi secondi su un particolare immobile, con la medesima illuminazione e la mdp fissa su di esso: in questo caso conterrà tanti fotogrammi identici.
Possiamo, ad esempio, inquadrare un albero per 10″ con la mdp fissa e vedremo solo il muoversi dei rami e delle foglie al vento.
Al contrario, potremmo avere un’inquadratura sempre di soli 10″ in cui si verificano contemporaneamente: mutamenti di luce, movimenti della mdp, azioni degli attori in scena. In questo caso, l’inquadratura conterrà almeno 240 fotografie, tutte diverse.
Il piano sequenza non è una semplice inquadratura. Si tratta di un movimento della mdp che compone dinamicamente più inquadrature diverse, collegate le une alle altre senza soluzione di contiuità (è esattamente quello che fanno tutti coloro che effettuano delle riprese a livello amatoriale, muovendo continuamente la videocamera a documentare ciò che stanno vivendo). Nel PSQ è molto frequente l’uso del carrello, di un dolly e/o di uno zoom, per segure l’azione e avvicinarsi o allontanarsi da essa.
Riprendere un piano sequenza risulta quindi essere una tecnica di ripresa più spontanea di quella che, richiedendo un’attenta pianificazione delle singole inquadrature, si affida al montaggio. Si tratta di due “tecniche” molto diverse che vengono impiegate per comunicare significati differenti. Mentre il Piano-Sequenza è – il più delle volte – composto da movimenti di macchina (in genere pan, tilt, carrelli, dolly) che raccontano quasi con distacco, come se ci fosse un osservatore invisibile che ci mostra quello che sta vedendo, spostandosi in modo da favorire la comprensione della scena; col montaggio di (sapienti) inquadrature, si rende la scena più dinamica, coinvolgente, ma anche, frammentata, qualche volta volutamente caotica.
Il PS descrive con distacco. Il montaggio, racconta con enfasi. Ma non sempre questo è vero. Ho realizzato un esempio, tratto dal film di Jean Luc Godard “Questa è la mia vita” del 1961.
Il concetto di inquadratura implica quello di “composizione”: inquadrare significa questo. Se vogliamo assumere un punto di vista storico – secondo quanto si può osservare nelle non poche pellicole che ci restano dei primi anni del cinematografo -, possiamo notare che sono già presenti i principali “piani” di inquadratura. Fece scalpore il PP (Primo Piano) presente in The Great Train Robbery, del 1903, dove il fuorilegge punta la pistola verso la mdp, e quindi verso il pubblico.
Possiamo far derivare l’ideazione del primo piano cinematografico dal genere del ritratto, con due importanti differenze: l’orientamento orizzontale dell’inquadratura e, naturalmente, la funzione. Se un ritratto dipinto o fotografico è il “primo piano” di una persona reale, un primo piano al cinema non è assolutamente il “ritratto” del personaggio, reale o immaginario, e tanto meno dell’attore che lo interpreta!
Il ritratto aveva una funzione celebrativa. Raffigurava sempre persone reali, tendendo ad idealizzzarle nel loro ruolo sociale. Questa era la funzione del ritratto pittorico e rimane questa anche nel ritratto fotografico. Però, per la natura essenzalmente diversa del mezzo, il ritratto fotografico acquista via via sempre più immediatezza e capacità di penetrazione psicologica, avvicinandosi molto a quella che sarà la funzione assunta dal PP nel cinema.
Questa rassegna di ritratti pittorici, fotografici e infine di PP cinematografici, mostra abbastanza icasticamente le affinità e le differenze tra un ritratto e un PP. (Si può notare come, giunti nel XIX secolo e poi nel XX, sia la fotografia ad influenzare la pittura nel taglio dell’immagine: appare evidente nel ritratto di Degas – ultimo a destra della seconda fila – e in quelli di Boldini – terza fila, col celebre ritratto di Giuseppe Verdi).
Questa divagazione tra pittura e fotografia è servita a evidenziare come il cinema non abbia dovuto partire da una tabula rasa. I primi piani (PP) e i piani più ravvicinati detti PPP (primissimi piani in italiano, close-up in inglese) avevano i loro illustri precedenti, come pure la FI (figura intera), nel genere del ritratto, in pittura e in fotografia.
Un ulteriore apparentamento il cinema lo riconobbe – da principio per distaccarsene sempre maggiormente man mano che si andava precisando un proprio e originale linguaggio – con il teatro della cosiddetta “quarta parete”, il teatro borghese ottocentesco, nel quale la rappresentazione si svolgeva in interni con una quarta parete invisibile (il boccascena del teatro), oltre la quale si trovava il pubblico.
Il primo a certificare questa appartenenza fu certamente Georges Méliès, che dal teatro proveniva. Egli usò il cinematografo per fotografare quelle che erano delle rappresentazioni teatrali, salvo introdurre ogni possibile artificio consentito dal nuovo mezzo a sua disposizione. Infatti, nel caso di Méliès si parla appunto di “teatro fotografato”.
Le inquadrature sono Campi quando riguardano l’ambiente: CLL (campo lunghissimo); CL (campo lungo); CT (totale);
sono Piani quando riguardano soggetti (e/o oggetti): FI (figura intera); PA (piano americano); PM (p. medio); PP (primo piano); PPP (primissimo p.); DETT (dettaglio).
Prendiamo degli esempi traendoli da una sorta di enciclopedia del cinema: Il buono, il brutto e il cattivo di Sergio Leone, col celeberrimo “triello” della scena finale.